Il 29 luglio 2010 il Senato della Repubblica ha approvato, con 152 voti favorevoli, 94 contrari e 1 astenuto, il disegno di legge 1905, di iniziativa governativa, concernente “Norme in materia di organizzazione delle Università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario”. Il testo, rimasto sepolto per più di sei mesi nella 7° commissione permanente del Senato prima di approdare in aula, consta di tre titoli, che vanno a toccare rispettivamente la governance degli atenei (cioè la loro gestione politica ed economica), il diritto allo studio studentesco ed infine il reclutamento e l’avanzamento di carriera dei ricercatori e dei docenti universitari.
L’approvazione del disegno di legge, annunciata trionfalmente dal ministro Gelmini, vede passare alla Camera un testo certamente modificato rispetto a quello presentato nel novembre del 2009; tali modifiche vanno tuttavia ad incidere quasi esclusivamente sul titolo primo, a riprova dello scarso interesse del ministro per l’opinione, da sempre contraria, di studenti e ricercatori. L’on. Gelmini, abituata da grembiuli e maestri unici a sintetizzare i propri provvedimenti con frasi a effetto, ha subito posto l’accento sulle novità “rivoluzionarie” introdotte dai primi articoli del ddl: possibilità per i senati accademici di sfiduciare i rettori, tetto massimo di due quadrienni ai mandati dei Magnifici, professori ordinari in pensione a 70 anni, commissioni di concorso estratte a sorte. Peccato che gran parte delle novità fossero già state previste da leggi o note ministeriali emanate dai suoi predecessori o, più frequentemente nel caso della governance, da statuti e regolamenti degli atenei. Le vere novità sono altre: senati accademici svuotati della propria funzione e subordinati a consigli di amministrazioni con quote obbligatorie di membri esterni alle università; rettori (nonostante i proclami) in realtà fortemente rafforzati nella loro carica monocratica; dipartimenti di dimensioni faraoniche che sostituiscono corsi di laurea e facoltà nella gestione congiunta, inevitabilmente caotica, di didattica e ricerca; un diritto allo studio mutilato, con un sistema avviato di fatto sostituito da una legge delega al governo per ora in bianco, basato su test nazionali che tengono conto unicamente del merito e non – come invece nello spirito dell’articolo 34 della Costituzione – anche del reddito degli studenti; l’eliminazione della figura del ricercatore a tempo indeterminato, che sancisce di fatto la precarizzazione anche di una delle poche figure di ricerca ancora stabili, senza per questo risolvere il problema dello status giuridico dei ricercatori, se collaboratori di ricerca o docenti di terza fascia; infine il tempo massimo di sei anni (tre eventualmente rinnovabili una volta sola) per loro per vincere un concorso di idoneità a professore associato, pena la perdita della possibilità di restare negli atenei.
Del resto, sarebbe parziale analizzare il disegno di legge come un provvedimento a sé stante, scordandosi del contesto in cui si inserisce: i tagli progressivi all’università per l’intero quinquennio 2008-2013 contenuti nella legge 133/08 e quasi per nulla mitigati dalla successiva legge 1/09, che hanno portato in piazza lo scorso autunno migliaia di studenti, docenti e tecnici amministrativi dell’università. In un simile quadro l’invenzione del 3+3 appare come un pretesto malcelato per cacciare di fatto dall’università i ricercatori, privando una generazione di studiosi della possibilità di esercitare in Italia il proprio talento, dato che buona parte degli atenei italiani, ridotti in ginocchio proprio dai suddetti tagli, non ha la possibilità di bandire concorsi con regolarità.
Ed è in quest’ottica che il ministro non può certo dirsi sorpresa e indignata della protesta di docenti, ricercatori e studenti che a partire dalla primavera sta agitando l’intero panorama universitario italiano. Protesta che, proprio in virtù della non risoluzione del problema dello status giuridico dei ricercatori, viene attuata da questi ultimi tramite la manifestazione dell’indisponibilità a ricoprire carichi didattici per il prossimo anno accademico, mandando in parte in tilt l’offerta didattica di Università come quella di Padova che, in questi anni, hanno basato la propria didattica in modo molto forte proprio sulla disponibilità dei ricercatori stessi.
Certamente diversi per molti aspetti sono gli effetti di una tale protesta sui diversi atenei, e ancora di più fra le diverse facoltà di uno stesso ateneo: se ambiti più “professionalizzanti” come quelli medico e giuridico ne sono colpiti per nulla o molto poco, le facoltà più interessate, per come è inteso in esse il ruolo dei ricercatori, sono quelle scientifiche. Non fa eccezione il nostro ateneo in cui la protesta ha avuto e ha tuttora il suo fulcro nelle facoltà di Scienze MM.FF.NN., Ingegneria e – seppur in maniera più ridotta – Scienze politiche. Nelle prime due, in particolare, su un totale di circa 300 ricercatori (150 per ognuna), più di 220 hanno inviato alle rispettive Presidenze una lettera in cui comunicavano la propria indisponibilità per l’a.a. 2010-11 ad assumersi ore di didattica oltre gli obblighi contrattuali: niente più straordinari, insomma.
Noi, a livello locale come Studentiper e a livello nazionale come Unione degli universitari, abbiamo scelto di sostenere questa protesta e questa battaglia, per non cadere nella trappola di un governo che già troppe volte ha inneggiato a “guerre fra poveri”, cercando di mettere gli uni contro gli altri precari e pensionati, lavoratori dipendenti e indipendenti, e ora docenti e studenti, affermando che la protesta degli uni non può che essere un danno per gli altri: il disegno di legge, per come è stato approvato, minaccia di compromettere qualità di didattica e ricerca, turnover e possibilità lavorative per questa e per la prossima generazione di giovani ricercatori, colpisce gli studenti proprio come i docenti. È proprio per non dare addito a contrapposizioni di questo tipo che abbiamo organizzato in primavera insieme ai rappresentanti di tutte le liste presenti nella facoltà di Scienze tre assemblee informative di facoltà, dando agli organi di ateneo e ai rappresentanti dei ricercatori un filo diretto con gli studenti e giungendo all’approvazione all’unanimità da parte dei quasi 500 presenti di una mozione di pieno sostegno alle iniziative di protesta contro l’attacco al sistema universitario messo in atto dal governo.
È in linea con questo mandato che abbiamo votato, nei Consigli di Facoltà di Scienze e di Ingegneria, a favore del rinvio dell’assetto didattico, per non permettere che venisse chiusa in tutta fretta la questione. Sono sempre le stesse ragioni che ci hanno convinto infine, insieme a tutti gli altri rappresentanti degli studenti presenti nel Consiglio di Facoltà di Scienze, a non appoggiare la richiesta di rinvio delle preimmatricolazioni: si sarebbe trattato di una forma di protesta che, spaventando gli studenti usciti dalle superiori e inducendoli a iscriversi presso le medesime facoltà di altri atenei, non solo non avrebbe saldato docenti, studenti e famiglie contro l’azione ministeriale, ma avrebbe invece creato un malcontento nelle famiglie stesse ed uno scontro interno alle componenti dell’Università, con l’esito paradossale di danneggiare solo gli atenei più sensibili alla protesta, senza ottenere in compenso alcun risultato sull’opinione pubblica riguardo al disegno di legge.
Chi invece ha scelto di acuire lo scontro fra le diverse componenti degli atenei è la CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane), che non più tardi del 3 agosto scorso (con una fretta rispetto alla tempistica parlamentare che non si può che trovare maliziosamente sospetta) ha approvato a maggioranza un parere favorevole al disegno di legge, forse colpita dal rafforzamento dei poteri rettorali contenuto in esso, più probabilmente speranzosa di ottenerne in cambio una ridistribuzione a pioggia dei fondi che dovrebbero essere invece assegnati alle università sulla base meritocratica della produzione di ricerca e dello stato dei loro bilanci.
Ci auguriamo infine che lo slittamento in avanti di una settimana dell’inizio delle lezioni garantisca lo spazio per azioni informative e per altre forme di protesta: noi ci saremo, per portare avanti quelle ragioni e quei diritti che il ministro vorrebbe spazzare via.
Per quanto riguarda gli studenti che, confusi da quanto sta succedendo, non riuscissero a reperire informazioni sui loro corsi di laurea (con particolare riferimento proprio alle facoltà di Scienze e Ingegneria), consigliamo di tenere presente alcuni fatti: in primo luogo, le preimmatricolazioni sono partite (per la facoltà di ingegneria, che le aveva in un primo momento sospese, sono state riaperte il 9 agosto); per quanto riguarda i test di accertamento obbligatorio e quelli di accesso per i corsi a numero programmato, le date possono essere trovate sul sito di ateneo, www.unipd.it.
I corsi dei primi anni (lauree e lauree magistrali) potrebbero non partire, quelli che presentano questo tipo di rischio sono segnalati da un apposito “bollino” che riporta questa eventualità e in cui vi imbatterete preimmatricolandovi. Si tratta ad ogni modo di tutti i corsi di laurea e di laurea magistrale delle due facoltà a cui ci riferiamo. Nel caso partano, è comunque possibile che l’offerta didattica sia impoverita rispetto a quella degli anni precedenti per assenza di docenti a cui affidare i corsi. Raccomandiamo dunque agli studenti che devono preimmatricolarsi in questi giorni di tenere aperto un piano B procedendo a preimmatricolarsi in più di un corso di laurea.
I corsi dei secondi e terzi anni partiranno, ma anche in questo caso l’offerta didattica potrebbe essere ridotta e alcune lezioni, conseguentemente, potrebbero non partire per mancanza di corpo docente.
Gli esami sono garantiti, con l’eccezione di alcuni corsi del terzo anno della 270: la maggior parte di essi, anche nel caso in cui non venissero tenuti l’anno prossimo, potrebbero essere mutuati (cioè avere il medesimo esame) da corsi della 509 di quest’anno, ma questo non vale per tutti.
Ad ogni modo, l’ateneo garantirà a quanti si sono iscritti negli anni precedenti e devono frequentare il secondo o terzo anno, di continuare il proprio percorso di studi, pur con tutte le difficoltà che potrebbero sorgere.
Stiamo vegliando sui vostri studi, cercando di garantire il vostro diritto allo studio, che non può non passare da una dura contrapposizione al DDL Gelmini ma anche da un’attenta gestione di questa complicata fase, sempre nell’interesse degli studenti e dell’università pubblica e democratica. Siamo a vostra disposizione per ogni chiarimento, contattateci alla mail di ateneo info.studentiper@gmail.com o, per le facoltà interessate, alle mail studentiperscienze@gmail.com, studentiper.ingegneria@gmail.com, seguite l’evoluzione delle iniziative sul sito www.studentiper.it. Da settembre riaprirà lo sportello informativo in via Loredan, 26 a Padova.